Così affermava alla fine dell’Ottocento, in una lettera inviata ai musulmani del Caucaso, lo scrittore russo Leone Tolstoj (1828 – 1910).
Da allora la situazione non è migliorata, sia nello scacchiere mediorientale, a cui si rivolgeva l’autore di Guerra e pace, e sia in tutto l’Occidente e nel sud del mondo. Ci sono state due guerre mondiali, innumerevoli conflitti locali, devastazioni ambientali, assalto alle risorse a fronte di una popolazione che è passata da 1 a 8 miliardi di persone. Pertanto si può tranquillamente affermare che il mondo è ancora di più in grande confusione.
Con il conflitto in Ucraina si ritorna ad una divisione est-ovest, saltano i trattati sul disarmo e sulla non proliferazione di armi nucleari, nonché gli accordi di Parigi del 2015 con gli obiettivi di sviluppo sostenibile per contenere i cambiamenti climatici. Tutto questo nonostante la pericolosa irregolarità delle stagioni e fenomeni climatici estremi che si pensava potessero avvenire dopo il 2030. Ed anche l’obiettivo 16 dell’Agenda 2030, Pace, giustizia ed istituzioni solide ed autorevoli, non sembra proprio essere prioritario nelle sedi istituzionali internazionali preposte ad evitare nuovi conflitti mondiali.
Le sfide globali hanno necessità di risposte universali ed in tempi ragionevoli. La ricerca di una nuova identità sociale, la cittadinanza mondiale, e l’avanzamento collettivo con il riconoscimento politico e giuridico dell’Umanità, procedono lentamente.
Marshall Mac-Luhan, filosofo e sociologo canadese, fa coincidere la nascita del villaggio globale con il 24 maggio del 1844, giorno in cui fu trasmesso il primo messaggio Morse: «What hath God wrought?» «Che cosa ha creato Dio?», espressione tratta da I Numeri.
Il telegrafo venne inventato da Samuel Morse. Il primo messaggio telegrafico fu inviato fra Washington e Baltimora alle 8:45 del 24 maggio 1844. La trasmissione utilizzò linee elettriche. Dopodiché fu realizzata la prima rete di comunicazione nei vari continenti. Cinquanta anni dopo Guglielmo Marconi inventò il telegrafo senza fili, che permise la trasmissione a grandi distanze.
Il rapidissimo sviluppo della comunicazione ha contribuito alla nascita di una nuova visione del mondo. Ciò ha permesso lo sviluppo di istituzioni internazionali, come la Lega delle Nazioni e poi nel 1945, circa 100 anni dopo il primo messaggio Morse, l’organizzazione delle Nazioni Unite.
Nel trambusto e nella destabilizzazione attuale è avvertita l’urgenza di un altro passaggio fondamentale per garantire la pace, la salvaguardia dell’ambiente, dei beni comuni e dei diritti umani: la creazione di una Costituzione della Terra. Il professore Luigi Ferrajoli lo illustra molto bene nel suo libro.
«Esistono problemi globali che non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità. Il riscaldamento climatico, il pericolo di conflitti nucleari, le disuguaglianze, la morte di milioni di persone ogni anno per mancanza di alimentazione di base e di farmaci salvavita e le centinaia di migliaia di migranti in fuga segnano il nostro orizzonte presente e futuro. In gran parte dipendono dall’assenza di limiti ai poteri selvaggi degli Stati sovrani e dei mercati globali. Tuttavia, secondo Luigi Ferrajoli, un’alternativa istituzionale e politica è possibile e la sua stella polare è una Costituzione della Terra. Non si tratta di un’ipotesi utopistica. Al contrario, è la sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che Thomas Hobbes affrontò quattro secoli fa: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica basato sul divieto della guerra e sulla garanzia dell’abitabilità del pianeta e perciò della vita di tutti. La vera utopia, l’ipotesi più inverosimile, è l’idea che la realtà possa rimanere così come è: l’illusione cioè che potremo continuare a fondare le nostre democrazie e i nostri tenori di vita sulla fame e la miseria del resto del mondo, sulla forza delle armi e sullo sviluppo ecologicamente insostenibile delle nostre economie. Solo una Costituzione della Terra, che introduca un demanio planetario a tutela dei beni vitali della natura, bandisca le armi a cominciare da quelle nucleari e introduca un fisco e idonee istituzioni globali di garanzia in difesa dei diritti di libertà e in attuazione dei diritti sociali di tutti può realizzare l’universalismo dei diritti umani, assicurare la pace e, prima ancora, la vivibilità del pianeta e la sopravvivenza dell’Umanità.»
[Luigi Ferrajoli]
La Costituzione della Terra è stata una delle tracce all’esame di maturità del 2022 e grazie a questa scelta insegnanti e studenti hanno scoperto questa proposta.
Il processo storico verso la pace, la solidarietà, la sostenibilità, l’integrazione, l’equità e la giustizia ha necessità di un punto di riferimento, di un modello, di un Maestro che possa tracciare la strada, dare vitalità e forza morale.
Ecco allora l’importanza della ricerca personale, libera ed indipendente, su come aiutare l’Umanità a risolvere i propri problemi, come accennava Leone Tolstoj nella sua lettera ai musulmani del Caucaso. Lo scrittore russo è stato il primo nella storia a teorizzare il concetto di educazione universale. Ciò implica la ricerca di un Educatore universale. Tolstoj indica un Personaggio che offriva la soluzione ai tanti problemi, ed invita a «rivolgersi al Prigioniero di ‘Akká».
Chi era questo prigioniero? La storia documenta che si chiamava Bahá’u’lláh, Che in quel tempo era stato imprigionato, dal Governo turco ottomano, ad ‘Akká e Che aveva rivelato la fede bahá’í, una religione – secondo Leone Tolstoj – che aveva un grande avvenire davanti a sè perché «essa si presenta, a noi, come la forma più pura e più elevata del sentimento religioso (…)» [Leone Tolstoj, da una lettera inviata ai musulmani del Caucaso].
Praticamente della stessa opinione furono anche – tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento – orientalisti, storici, poeti, scrittori, statisti e uomini di pace come: Gandhi, Rabindranath Tagore, Ernest Renan, Arnold J. Toynbee, Sarvepalli Radhakrishnan, Auguste Forel e Guillaume Apollinaire [a cui egli dedicò persino un saggio: ‘Le Behaisme’ – Mercure de France, Echos, (Paris) (16 October 1917)].
Tutti concordarono sull’ipotesi che il Prigioniero di Akká avesse realmente messo in movimento – con il suo Messaggio religioso, divinamente rivelato durante la Sua esistenza terrena (1817-1892) – una Causa collettiva che – secondo lo statista Edvard Benes – si presentava (e si presenta tutt’oggi, secondo i bahá’í) come una delle più grandi forze morali e sociali del mondo, in grado di accompagnarci verso la costruzione delle fondamenta di una pace universale permanente. Questa particolare circostanza torna oggi d’attualità, in un momento in cui soffiano nel mondo venti di guerra ed esplodono ovunque problemi di ogni genere.
Appena due anni prima di morire, Bahá’u’lláh ricevette a Bahjí uno dei pochi occidentali che Lo incontrarono e l’unico che abbia lasciato un resoconto scritto di quell’esperienza. Il visitatore era Edward Granville Browne, giovane orientalista emergente dell’Università di Cambridge, la cui attenzione era stata originariamente attratta dalla drammatica storia del Báb e della Sua eroica schiera di seguaci. Del Suo incontro con Bahá’u’lláh, Browne scrisse: “Sebbene sospettassi vagamente dove mi recassi e chi avrei visto (poiché non mi era stata data alcuna idea precisa), trascorsero un secondo o due prima che, con un palpito di meraviglia e di rapimento, mi rendessi definitivamente conto che la stanza non era disabitata. Nell’angolo dove il divano incontrava il muro sedeva una Figura meravigliosa e venerabile… Non potrò mai dimenticare il viso di colui che ammiravo, sebbene io sia ora incapace di descriverlo. Quegli occhi penetranti sembravano leggere l’anima; la fronte assai spaziosa denotava possanza e autorità… Non v’era certo bisogno di chiedere alla presenza di chi mi trovassi, mentre mi inchinavo dinanzi a colui che è oggetto di devozione e d’amore tali che i re possono invidiare e gli imperatori sospirare invano! Una voce gentile e dignitosa m’invitò a sedere e quindi proseguì:
«Sia lodato Iddio che tu giungesti!… Sei venuto a vedere un prigioniero e un esiliato… Noi desideriamo soltanto il bene del mondo e la felicità delle nazioni; eppure ci considerano fomentatori di discordie e sedizioni, punibili con la cattività e l’esilio… Tutte le nazioni abbraccino la medesima fede e tutti gli uomini divengano fratelli; i legami d’affetto e di unione fra la progenie umana si rafforzino; le diversità di religione cessino e l’antagonismo di razza svanisca… che male vi è in ciò?… Eppure tutto ciò avverrà; le lotte infruttuose, le guerre rovinose svaniranno e si avrà l’avvento della Più Grande Pace…»”.
[Edward G. Browne, A Traveller’s Narrative (New York: Bahá’í Publishing Committee, 1930), pp. xxxix-xl; trad. it. Nuova Era, pp. 71-2.]
Foto di copertina. L. Tolstoj nella sua tenuta di Jasnaja Poljana, in una foto di Sergej Michajlovič Prokudin-Gorskij (maggio 1908). È l’unica foto a colori di Tolstoj.