Molti in Occidente conoscono Khalil Gibran per avere letto il suo capolavoro, Il Profeta.
Nato a Bsharre, 6 dicembre 1883 – New York, 11 aprile 1931, è stato un poeta, pittore e aforista libanese naturalizzato statunitense.
Libanese di religione cristiano-maronita emigrò negli Stati Uniti; le sue opere si diffusero ben oltre il suo Paese d’origine: fu tra i fondatori, insieme a Mikha’il Nu’ayma (Mikhail Naimy), dell’Associazione della Penna (al-Rābiṭah al-Qalamiyyah), punto d’incontro dei letterati arabi emigrati negli Stati Uniti. La sua poesia venne tradotta in oltre 20 lingue, e divenne un mito per i giovani che considerarono le sue opere come breviari mistici. Gibran ha cercato di unire nelle sue opere la civiltà occidentale e quella orientale.
Khalil Gibran, aprile 1913. Foto di Fred Holland Day.,
Khalil Gibran, Photograph, Al-Funoon, 1, No. 1 (April 1913)
Juliet Thompson (1873–1956) è stata una pittrice americana, di fede bahá’í che ha incontrato ‘Abdu’l-Bahá. È forse ricordata soprattutto per il suo libro Il diario di Juliet Thompson , sebbene abbia anche dipinto un ritratto a grandezza naturale di ‘Abdu’l-Bahá.
Questo racconto dell’incontro con Gibran, è stato tradotto da Marzieh Gail.
Juliet ricorda Gibran
Sabato, 8 dicembre 1956 il Paris Herald annunciava che martedì era morta Miss Juliet J. H. Thompson, una ritrattista che, per quasi mezzo secolo, aveva fatto il ritratto a personaggi importanti come il Presidente Woodrow Wilson e Mrs. Calvin Coolidge.
Alcuni di noi, che allora vivevano come pionieri bahá’í a Salisburgo, Austria, vennero a conoscenza, in questo modo, del trapasso di Juliet a casa sua, a New York.
Juliet, nata in Virginia, era imparentata con Edward Fitzgerald, traduttore di “Il Rubayat”. Suo padre, Ambrose White Thompson, era amico intimo di Lincoln.
Juliet, una ritrattista e donna molto bella, era molto conosciuta nella “Washington Society” ed era inserita nel registro sociale, anche se come lei metteva in evidenza, con grado cadetto (Junior).
Per molti anni Juliet e Daisy Pumpelly Smith, anch’essa artista, condivisero la casa nel Greenwich Village, al numero 48 della West 10th Street. Esse fecero della loro casa un famoso luogo di raduno per persone di molte razze e religioni, e lì visite ed incontri familiari erano quasi continui. Accoglievano volentieri specialmente membri di razza nera, citando spesso le parole di ‘Abdu’l-Bahá che se l’America non avesse risolto le tensioni tra bianchi e neri il sangue sarebbe scorso per le sue strade. Anche Helen James, una donna nera, amica e dama di compagnia di Juliet, abitava nella stessa casa.
Juliet si sentiva così vicina alla razza nera che, poco prima della sua morte, chiese che il suo corteo funebre passasse attraverso Harlem e ciò fu fatto.
Molte delle persone del corteo funebre rimasero là al “48” alcuni per giorni o settimane.
Nello stesso tempo Dimitri Marianoff, che era stato genero di Albert Einstein, stava scrivendo un libro bahá’í al terzo piano, Juliet stessa stava rivedendo il suo “Io, Maria Maddalena” (un racconto ispirato da ‘Abdu’l-Bahá, Che ella visitò, come narrato nel suo diario, in Terra Santa, Svizzera e New York) al piano di sotto, mentre io ero nel salotto del seminterrato, a finire “La Persia e i Vittoriani”. Ogni stanza della vecchia casa era stata benedetta da ‘Abdu’l-Bahá e Juliet disse che Egli in particolare approvò la sua stanza studio. Egli disse che era eclettico – in parte orientale e in parte occidentale e che Gli sarebbe piaciuto costruirne una simile. In un angolo del soggiorno del pianterreno, con una corda che lo attraversava, si trovava la fragile antica poltrona nella quale Egli era solito sedersi.
Fu il 6 aprile 1943, nel suo studio, al piano di sopra davanti alla casa, che Juliet condivise con me e pochi altri ospiti, questi ricordi di Khalil Gibran.
“Egli viveva al di là della strada” disse Juliet Thompson, al numero 51 West 10th. Non era né ricco né povero – una via di mezzo. Lavorava in un giornale arabo; libero di dipingere e di scrivere[1]. La sua salute era buona nei primi anni. Era terribilmente triste negli anni successivi a causa del cancro. Morì a 49 anni. Sapeva che la sua vita stava finendo troppo presto.
“I suoi disegni erano più belli dei suoi dipinti. Questi erano molto sfuocati indefiniti, misteriosi e perduti – molto poetici”.
Un Siriano lo portò a trovarmi – non riesco nemmeno a ricordare il suo nome. Khalil diceva sempre che io ero stata la sua prima amica a New York. Diventammo molto molto amici e tutti i suoi libri – Il Pazzo, Il Precursore, Il Figlio dell’Uomo, Il Profeta – io li ho ascoltati dal manoscritto. Mi dava sempre i suoi libri. Il mio preferito era “Il Profeta”.
Non credo ci sia stata nessuna connessione fra Abdu’l-Bahá e “Il Profeta”. Ma mi disse che quando scrisse “Il Figlio dell’Uomo” pensava continuamente ad ‘Abdu’l-Bahá. Diceva che stava per scrivere un altro libro con al centro ‘Abdu’l-Bahá e tutti i suoi contemporanei che parlavano di Lui. Morì prima di scriverlo. Mi disse infine che “Il Figlio dell’Uomo” era stato influenzato da ‘Abdu’l-Bahá.
Scrisse i suoi libri nella stanza al di là della strada. Poi mi chiamava e mi diceva di andare ad ascoltare un capitolo.
Apparteneva ad un’antica famiglia Siriana. Suo nonno era uno dei vescovi. Penso sia sempre rimasto Cristiano Ortodosso (Greco).
Ho visto gli Armeni e i Siriani baciargli la mano e chiamarlo Maestro. Questo era molto sbagliato per Gibran. Aveva centinaia di seguaci. Mantenne quel luogo chiuso a tutti eccetto ai suoi amici intimi e al suo lavoro.
Era molto innamorato di una mia amica – ma amava davvero anche me e anch’io lo amavo – ma non era quel tipo di amore. Non era proprio un amante. Non era quel tipo di uomo.
Aveva un timbro di voce chiaro e delicato e un modo di comportarsi modesto e timido finché non usciva fuori con qualcosa di potente come il tuono.
Non so come descriverlo tranne che dire che era l’immagine precisa di Charlie Chaplin. Ero solita dirglielo. Ciò lo rendeva terribilmente furibondo.
Come Gibran entrò in contatto con la Causa Bahá’í: vi racconterò francamente la storia proprio come è stata.
Mi affrettavo a narrargliela, egli ascoltava. Conosceva alcune espressioni in arabo di Bahá’u’lláh.
Diceva che era la letteratura più bella che mai fosse stata scritta. E che amava perfino le parole. Non c’era nessuna espressione araba che raggiungesse il livello delle espressioni arabe di Bahá’u’lláh.
E poi Khalil, “Il Maestro”, ottenne un seguito. Mi disse che apparteneva agli “Illuminati” in Persia. Era solito alzarsi in piedi e dire: “Per che cosa abbiamo bisogno di una Manifestazione di Dio? Ciascuno di noi può entrare in contatto diretto con Dio. Io sono in diretto contatto con Dio”.
Non dicevo nulla. Lo lasciavo solo parlare.
Indossava abiti americani da uomo d’affari. Aveva molti capelli neri e mossi.
Il tempo passava. Gli dissi che il Maestro stava venendo. Mi domandò se avrei chiesto al Maestro di posare per Lui. Il Maestro dette un’ora alle 6.30 una mattina. Realizzò un ritratto molto espressivo. Non somigliava molto al Maestro – una somiglianza molto vaga. Grande forza nelle spalle. Una grande luminosità nel volto. Non è un ritratto del Maestro, ma è il lavoro di un grande artista. Lo considero davvero un grande artista[2].
Immagine sopra: Juliet Thompson conosceva i ritratti di Khalil Gibran di personaggi famosi della filosofia e dell’arte. Fu attraverso Thompson che Gibran incontrò ‘Abdu’l-Bahá e disegnò questo suo ritratto nella primavera del 1912. Bahá’í World News Service, https://news.bahai.org/story/1172/slideshow/8/
Nella sua vita privata era molto modesto e ritirato. Non aveva mai incontrato il Maestro prima. E ciò fece iniziare la sua amicizia. Semplicemente adorava il Maestro. Era solito venire in questa casa (48 west 10th) per veder il Maestro. A Boston era spesso con il Maestro. Tutta questa sorta di visione un po’ confusa è legata la fatto che è passato molto tempo.
Mi raccontò due storie che ritenni molto preziose:
“Un giorno quando stava andando in macchina con il Maestro a Boston e ‘Abdu’l-Bahá disse: “Perché costruiscono le loro case con tetti piatti?” Khalil non rispose per un momento e poi il Maestro stesso rispose: “Perché essi stessi sono senza cupola”.
Un’altra volta era con il Maestro quando due donne entrarono. Erano donne alla moda e fecero delle domande sciocche. Una di loro voleva sapere se si sarebbe sposata di nuovo. Il Maestro stava camminando nella stanza. Trattenendo il respiro ed espellendolo fuori, girando gli occhi da una parte all’altra. Quando se ne andarono disse: “Spazzatura dorata”.
Il Maestro andò via e Khalil si mise a scrivere i suoi libri. Ma spesso parlava di Lui, con tono molto molto simpatetico e amorevole. Ma l’unica cosa era che non accettava un intermediario per se stesso. Voleva un contatto diretto[3].
Poi una notte, negli anni successivi, un film sul Maestro stava per essere proiettato al Centro Bahá’í. Egli si sedette vicino a me nella fila davanti e vide il Maestro tornare in vita per lui in quel filmato. E cominciò a singhiozzare. Noi gli avevamo chiesto di dire qualche parola quella sera. Quando venne il momento di parlare, si dominò e balzò sul palco e poi, mia cara, ancora piangente davanti a noi disse: “Io dichiaro che ‘Abdu’l-Bahá è la manifestazione di Dio per questo giorno!”.
Naturalmente non aveva capito, ma…[4] – stava piangendo e non disse nient’altro. Scese e si mise a sedere vicino a me e continuò a piangere a piangere e a piangere. Guardando il filmato riportò tutto alla sua mente. Prese le mie mani e disse: “Tu hai aperto una porta per me stasera”. Poi fuggì dalla sala.
Non ho mai sentito parlare ancora di questo fatto. Ed egli non si riferì mai più a questo fatto.
“Povero Khalil!” La fine non fu così bella. Io ero via. Quando tornai era molto malato. Mi chiese se sarei andata a trovarlo tutti i giorni. Era a letto. Questi furono i suoi ultimi giorni.
Voglio dirvi tutto quello che posso finché posso. Voleva esprimere la storia della sua vita. Tanta parte di essa è svanita.
Mi disse: “Quando la neve comincia a cadere mi sveglia sempre. Una volta alle tre di mattina pensai che mi sarebbe piaciuto uscire camminare nella neve e riflettere. Perciò andai a Central Park. Stavo camminando con un piccolo taccuino in mano. Stavo terminando “The Earth Gods” (un libro recente, ma il suo ultimo). Stavo scrivendo nel mio taccuino in mezzo alla neve. Un grosso poliziotto mi raggiunse.
- “Che cosa sta facendo?”
- “Sto scrivendo”.
- “Scrivendo? È inglese?”
- “No”.
- “Siete francese?”
- “No”.
- “Che cosa siete?”
- “Vengo dalla Siria”.
- “Oh. Sa niente di quel siriano – penso il suo nome sia Kayleel Guibran – quel tipo che scrive libri?”
- “Penso di sì”.
- “Bene, da quando è entrato nella vita della nostra famiglia non c’è più stata pace. Avevo sempre avuto una buona moglie. Ora non fa nulla tutto il giorno se non leggere quel Kayleel Guibran…”
In quegli ultimi giorni egli soltanto pianse, pianse e pianse. Con la testa sulla mia spalla. Non diceva mai che stava morendo. Non disse mai una parola eccetto un’unica cosa: “Voglio darvi tutto quello che posso finché posso – perciò venite tutti i giorni”.
I suoi seguaci rimasero con lui. È proprio degno di venerazione. È stato sepolto a Boston.
Grandi occhi castani e tragici. Gli occhi erano molto importanti nel suo volto. La sua fronte era ampia – molto alta – molto ampia e aveva un ciuffo di capelli neri. Basso, snello (indica la sua statura in misura inglese). Una espressione della bocca molto tenera inclinata un po’ agli angoli. Un uomo molto triste e ne aveva ben ragione. Piccoli baffetti neri, come Charlie Chaplin.
Immagine di Marzieh Gail: Fonte: http://any-thing-bahai-resources.blogspot.com/2010/09/blog-post_6.html Categoria: Marzieh Gail
Traduzione di Marzieh Nabil Carpenter Gail (1 aprile 1908 – 16 ottobre 1993) è stata una bahá’í persiano-americana che ha contribuito allo sviluppo delle comunità bahá’í negli Stati Uniti, in tutta Europa e in Iran. Ha scritto diversi libri sulla fede bahá’í e ha contribuito alla produzione di alcune traduzioni ufficiali degli scritti bahá’í in inglese.
Immagine di copertina: Dalla collezione fotografica della Library of Congress, Juliet Thompson con il suo ritratto della First Lady Grace Coolidge, Autore sconosciuto – Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti https://www.loc.gov/pictures/item/npc2007016656/ http://hdl.loc.gov/loc.pnp/npcc.16657
[1] Per altre informazioni sulla vita di Gibran consultare le recenti pubblicazioni.
[2] Barbara Young, nel libro “Questo uomo dal Libano: uno studio di Khalil Gibran” (New York, Knopf, 1945), p. 68 ha scritto: “Nei suoi ultimi anni amava parlare dei suoi primi anni a Parigi e a New York, del suo primo studio, che chiamava “la mia piccola gabbia” e poi di quello più spazioso, più in alto nel palazzo, una grande stanza dove sentì una nuova libertà, dove egli disse, “Ho potuto aprire le mie ali”.
“E’ stato in questo studio che il ritratto del reverendo Abdu’l – Bahá è stato realizzato nel 1912. Il sant’uomo aveva indicato le sette della mattina come l’ora in cui avrebbe acconsentito a posare per il suo ritratto. Parlando di ciò Gibran disse: “Rimasi sveglio tutta la notte, poiché sapevo che non avrei mai avuto una mano e un occhio per lavorare se mi fossi addormentato”.
[3] L’insegnamento Bahá’í, come quello Cristiano, è che la Manifestazione di Dio è la via verso Dio. Gesù disse:” Io sono la porta…” (Giovanni 10:7).
[4] Bahá’u’lláh e il Báb sono le due Manifestazioni di Dio per oggi. ‘Abdu’l-Bahá è l’Esempio e l’Interprete della Fede Bahá’í.