Fra le necessità di base c’è sicuramente il diritto ad una sana alimentazione. Esso comprende 3 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030: l’eliminazione della povertà e della fame, la salvaguardia della salute. Alimentazione, salute e ambiente sono strettamente connesse fra loro.
«La crescita della popolazione mondiale e il conseguente aumento della domanda di derrate alimentari imporranno il cambio della destinazione di aree, già adibite a colture per alimentazione di animali da macello, in terreni coltivati a prodotti alimentari strategici, come cereali e legumi.
Lo stesso vale per le aree coltivate al fine di produrre droghe, tabacco, alcol per bevande, ecc…, consumi oggi molto diffusi, ma assolutamente irrazionali, superflui e nocivi alla salute.
“Dobbiamo considerare inoltre che gli animali erbivori costretti dall’uomo ad alimentazione con farine animali, nonché a sovralimentazione a crescita rapida, per mezzo di ormoni femminili cancerogeni, soggetti alla immobilità, per evitare perdita di peso, a vaccini e antibiotici, per le malattie dovute all’alimentazione impropria e alla vita poco sana, non sono più un’alimentazione sana e corretta per l’uomo. Infatti i residui di quanto sopra vengono assunti dall’organismo umano. Le conseguenze sono: “sviluppo di caratteri fisici femminili nei maschi, aumento della frequenza dei tumori, innesco di reazioni allergiche ad antibiotici, stimolo alla crescita di batteri antibiotico – resistenti, impoverimento della flora batterica intestinale, impegno eccessivo di organi depuratori e detossicanti come fegato e reni.” [i]
Considerando che questi brani riportati risalgono al 1988, possiamo oggi considerare non solo la veridicità delle prospettate conseguenze, ma dobbiamo anche constatarne altre ancora più terribili. Il problema mondiale della BSE (Encefalopatia Spongiforme Bovina, “mucca pazza”) ci dà la misura della drammaticità della situazione, ma nello stesso tempo può aiutarci a cambiare mentalità riguardo a un regime alimentare più naturale.
La malnutrizione, sia per eccesso che per carenza di cibo, favorisce l’insorgere di problemi molto gravi per la salute. Il principio della moderazione è applicabile dunque anche nell’ambito dell’alimentazione.
Un altro aspetto per la salvaguardia della salute riguarda la qualità dei cibi. Molti prodotti sono troppo sofisticati e alcuni modificati geneticamente (OGM). Riguardo a questi ultimi possiamo elencare alcune considerazioni:
a) Le manipolazioni genetiche più utilizzate mirano ad aumentare la tolleranza agli erbicidi (che così possono essere adoperati in quantitativi più consistenti, con le ovvie conseguenze per l’ambiente e la salute umana); oppure agli insetticidi che uccidono anche gli insetti utili per la catena alimentare, come le api.
b) Rischi per l’uomo consumatore di sostanze geneticamente modificate di cui non si conoscono ancora gli effetti:
– ci sono alcuni prodotti che se modificati suscitano delle reazioni, cioè producono sostanze che possono essere allergeniche per l’uomo;
– il maggior utilizzo di erbicidi, conseguente alla maggior resistenza della pianta, può avere come conseguenza una più alta concentrazione di residui sull’alimento;
– l’inserimento di geni estranei in un organismo spesso ha effetti incontrollati e sconosciuti, come ad esempio la produzione di nuove sostanze. La genetica e soprattutto l’ingegneria genetica, sebbene strumenti preziosi, se ben impiegati, sono molto pericolose ed imprevedibili.
c) Rischi ambientali:
– la natura normalmente reagisce a qualsiasi cambiamento le venga imposto; di conseguenza si selezioneranno organismi resistenti agli erbicidi, organismi forse più pericolosi per le colture e forse per altri organismi; inoltre la presenza di piante resistenti a certi parassiti o insetti nocivi, comporterà la selezione di nuove forme di parassiti e/o insetti più potenti;
– i geni estranei presenti negli OGM possono essere trasferiti alle specie infestanti oppure passati nel terreno ed acquistati da altri organismi (batteri ad esempio); infatti in natura è possibile un trasferimento di DNA fra specie simile, ma anche se più raramente tra specie diverse;
– maggior inquinamento ambientale col maggior uso di pesticidi;
– scomparsa della biodiversità, fondamentale per la sopravvivenza di un ecosistema e per la catena alimentare. Questa scomparsa è dovuta al fatto che piante modificate, e quindi più resistenti, avranno la meglio su altre, sostituendole.
d) Sulle manipolazione genetica bisogna fare dei distinguo: un conto è se viene usata per procurare denaro ai ricchi speculatori, attraverso il “miglioramento”, che permette loro di guadagnare senza far lavorare la popolazione; un altro è se viene usata per il vero incremento del benessere della società sotto il controllo di organismi di controllo internazionale, per evitare errori irreversibili.
Il ritorno all’agricoltura biologica sembra una scelta obbligata. I fertilizzanti chimici compromettono forse irreparabilmente la fertilità del terreno. Le monocolture favoriscono la moltiplicazione dei parassiti, richiedendo sempre maggiore uso di antiparassitari, insetticidi, pesticidi, fungicidi, determinando l’avvelenamento dell’aria, del suolo, delle falde acquifere e la riduzione dei terreni coltivabili. Da questo consegue la deforestazione sistematica (in particolare modo della fascia equatoriale) per acquisire nuovi terreni da sfruttare e distruggere.
Ci sono anche altri aspetti da considerare. Quasi l’80% della soia mondiale viene usato per nutrire gli animali. Circa i due terzi del pescato marino diventa mangime di polli, suini e altri animali.[ii] È uno dei motivi della crisi degli stock ittici.
Nutrire gli animali con cereali richiede un forte consumo di acqua: per produrre 2 etti di carne di manzo occorrono fino a 25.000 litri d’acqua, mentre per produrre la farina per un pane a cassetta sono sufficienti 550 litri.[iii]
I cereali fanno aumentare rapidamente il peso dell’animale. Un tempo, occorrevano 4 – 5 anni prima di finire al macello, adesso, con mais, soia, antibiotici e ormoni, i vitelli possono passare in soli 14 mesi da 36 a 554 kg di peso.[iv]
Si deve poi considerare l’inquinamento per i nitrati dovuti agli allevamenti. Ci sono pericoli per la possibile diffusione di malattie negli allevamenti intensivi (con sovraffollamento). L’uso di antibiotici, nell’allevamento del bestiame, rende più difficile combattere le infezioni alimentari e le altre malattie trasmesse all’uomo. Gli antibiotici abbassano le difese naturali anche degli animali, non solo dell’uomo. L’aumento delle allergie nei bambini è in parte dovuto a questo motivo, oltre che all’inquinamento.
Molte Nazioni produttrici e molti governi, invece di richiedere cambiamenti nelle pratiche di allevamento e di lavorazione e della carne, propongono di irradiare le carni per eliminare i batteri patogeni. Gli alimenti irradiati sono meno nutrienti.
In Cina e India sta aumentando il consumo di carne, moda importata dall’Occidente, e ciò aggrava lo sbilancio energetico. La produzione agricola destinata all’alimentazione sta diminuendo per far posto a quella destinata all’allevamento, e l’agricoltura in quei Paesi rischia di non essere più autosufficiente.
Ma ci sono anche altre scelte che non si conciliano con il diritto all’alimentazione per tutti i cittadini del mondo. La scelta di destinare terreni fertili agricoli per la produzione di biocarburanti determina una diminuzione della produzione di beni strategici, come grano, mais, legumi, ecc…; altrove contribuisce alla distruzione di ciò che resta delle grandi foreste pluviali. Le conseguenze sono perciò carenza alimentare e variazioni climatiche.
“I biocarburanti saranno tutt’altro che decisivi sotto il profilo del contributo energetico. Ma, in compenso, continueranno a provocare consistenti aumenti dei prezzi del cibo. Lo sostiene la FAO (Food and Agriculture Organization) nel suo rapporto annuale sullo stato dell’alimentazione e dell’agricoltura. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, tra il 2000 e il 2007 la produzione di biocarburante derivata da prodotti agricoli è più che triplicata e oggi copre quasi il 2% del consumo mondiale di carburanti per il trasporto. Questa percentuale è destinata ad aumentare, ma per fortuna, non in modo significativo. In altri termini: il contributo dei biocombustibili continuerà a rimanere abbastanza modesto, a livello globale, anche in futuro.
Un gioco che sembrerebbe non valere la candela, si direbbe dall’analisi della FAO, visto che va controbilanciato con l’incremento dei prezzi dei generi alimentari da esso provocato. Tanto per fare un paio di esempi, se entro il 2010 la richiesta di scorte per i carburanti d’origine vegetale salisse del 30% rispetto al 2007, il prezzo del mais aumenterebbe dell’11% e quello dello zucchero del 26%. A tutto ciò si deve aggiungere il negativo impatto ambientale del biofuel, che in molti casi, se si considera anche il suo ciclo produttivo, causa addirittura un aumento delle emissioni di gas serra, invece di contribuire alla loro diminuzione.
Il discorso è diverso per i biocarburanti di seconda generazione, ossia quelli derivati da materie prime che non entrano nel ciclo alimentare, come legno, alghe e altre piante erbacee che possono essere coltivate su terreni a bassa fertilità. Non sono ancora disponibili, ma il loro utilizzo non causerebbe una riduzione della superficie destinata a usi agricoli, non avrebbe effetti diretti sui prezzi del cibo e sarebbe più sostenibile sotto il profilo ambientale. Quindi sussidi e investimenti pubblici, sempre secondo la FAO, dovrebbero andare in questa direzione.”[v]
Ricapitolando, si può utilizzare biocarburanti ottenuti dagli scarti e dai rifiuti, ma non da coltivazioni specifiche che sottraggono terreni fertili coltivabili per l’alimentazione umana. C’è anche da considerare che coltivando terreni con piante destinate a produrre esclusivamente biodiesel o alcol per combustibili, si consumano tutti i resti organici che altrimenti servirebbero a formare l’humus. Perciò dopo alcuni anni di coltivazione il terreno si impoverisce e non ha più le caratteristiche di fertilità che aveva in precedenza.
Jeremy Rifkin sostiene che non possiamo continuare a destinare un terzo della produzione cerealicola mondiale agli allevamenti. Nel suo libro “Ecocidio” (1992) aveva già ammonito che nel mondo vi erano all’epoca milioni di bovini, una grandissima mandria, che occupa, direttamente o indirettamente, una cospicua fetta della superficie terrestre e che consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare una porzione di umanità. Si accerta anche che la carne bovina è il cibo più a rischio di contaminazione da erbicidi e insetticidi. Inoltre, secondo un rapporto della FAO di maggio 2007, la prima causa dell’incremento umano dell’effetto serra è data dal settore costruzioni (case, negozi, uffici); la seconda è costituita dal complesso sistema produttivo necessario per sostenere gli allevamenti, che sono un’enorme fonte di inquinamento; la terza è rappresentata dai trasporti. La scelta di destinare parte dei terreni fertili coltivabili ai biocarburanti (anziché ottenerli eventualmente dai rifiuti) è un elemento peggiorativo nel bilancio complessivo, si stanno perfino abbattendo foreste pluviali per tale motivo.»
Tratto da Alimentazione ed energia due diritti fondamentali per l’Umanità, Marco Bresci, Nazzareno Gottardi, Perugia, 15 ottobre 2008.
La pubblicazione da cui è tratto l’articolo è del 2008, ma è ancora molto attuale. Tuttavia se saranno rispettati gli accordi di Parigi e perseguiti gli obiettivi dell’Agenda 2030, si può ben sperare per il futuro, le cose miglioreranno.
Note
[i] Fonte: Poalo Pigozzi, Walter Pedrotti, Giancarla Tisselli, Marta Fisher, Claudio Bighignoli, Paolo Berni, “Il cucchiaio verde”, Edizioni CDE su licenza della Demetra Srl, 1988.
[ii] “State of the World 2006”, Edizioni Ambiente.
[iii] Ibidem.
[iv] Ibidem.
[v] Fonte: Quattroruote.
Crediti immagine di copertina.