Una civiltà mondiale sostenibile, dal punto di vista ambientale, sociale, economico e spirituale si fonda sull’abolizione di tutti i pregiudizi. Fra questi, uno dei più radicati e difficili da rimuovere è senza dubbio quello della diversità di genere. Per secoli la donna è stata privata dei fondamentali diritti e tuttora in alcune zone del mondo si fatica a riconoscere la perfetta parità con l’uomo. Perfino nei Paesi industrializzati talvolta si preferisce assumere un uomo piuttosto che una donna per le maternità. La storia fino ad oggi ha visto l’uso della forza come modello predominante da imitare, con al centro l’uomo predatore, privilegiando la violenza, le abilità e le tattiche nelle battaglie alle qualità come la compassione, l’empatia, la solidarietà, l’intuizione, l’affetto ed il perdono che sono caratteristiche più prettamente femminili.
Il 50% dell’Umanità è composto da donne e nella lotta ai cambiamenti climatici occorre il pieno sostegno di questa fondamentale componente raggiungendo l’uguaglianza di genere.
Finalmente le potenzialità delle donne, soffocate fino ad ora da quella condizione di inferiorità in cui l’uomo l’ha sempre tenuta, stanno venendo alla luce e si stanno sviluppando. I campi di azione delle donne sono universali, ma possono giocare un ruolo decisivo nel perseguimento della pace e nella protezione dell’ambiente.
Le donne non mandano i propri figli a combattere e sono forse più sensibili nei confronti del rispetto dell’ambiente come tutela per le generazioni che verranno. Ci sono esempi di grandi figure nel mondo femminile che gettano luce e guida. Fra queste «Wangari Maathai, morta all’età di 71 anni. È stata la prima donna africana a ricevere il Nobel per la Pace nel 2004 per la sua lotta contro la deforestazione. Il suo impegno ambientalista è stato storico: nota soprattutto la sua attività alla testa del movimento ‘Green Belt’ (cintura verde) che ha piantato oltre 30 milioni di alberi lungo il continente africano contro la desertificazione. Era nata a Nyeri, in Kenia, nel 1940. Laureata in scienze biologiche ottenne la cattedra di veterinaria all’università di Nairobi: prima donna keniota a raggiungere un incarico così prestigioso. Nello stesso anno cominciò a lavorare al Consiglio nazionale delle donne del Kenia e dal 1981 al 1987 ne fu la presidentessa. Attraverso il Consiglio diffuse l’idea di piantare alberi e l’anno dopo tenne a battesimo proprio il ‘Green Belt Movement’, un’organizzazione per la salvaguardia dell’ambiente e il miglioramento della qualità della vita delle donne. La crescita del Green Belt Movement fu rapidissima: alla fine degli anni Ottanta erano coinvolte tremila donne. Dal 1986 le iniziative del movimento furono adottate in altri paesi africani: Tanzania, Uganda, Malawi, Lesotho, Etiopia e Zimbawe. Gli obiettivi principali sono la salvaguardia della biodiversità e la creazione posti di lavoro con un occhio particolare alla leadership della figura femminile nelle aree rurali. Negli ultimi 20 anni molti degli obiettivi del Green Belt e di Wangari sono stati raggiunti. In Africa è aumentata la consapevolezza della problematica ambientale e sono stati creati migliaia di posti di lavoro. Alla fine del 1993 le donne del movimento avevano piantato più di 20 milioni di alberi e molte erano diventate “guardaboschi senza diploma”.Negli anni la Maathai ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, inclusi il premio ‘Global 500’ del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il ‘Goldman Enviromental Award’, il premio ‘Africa per i Leader’ e il premio per “Una Società Migliore”. Negli ultimi anni il lavoro di Wangari si è focalizzato sulla situazione dei diritti umani in Kenya. Per il suo impegno per un Kenya multietnico e democratico, è stata diffamata, perseguita, arrestata e picchiata.»[1]
Dal 14 marzo 2019 a Wangari Maathai è dedicata una targa al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano.
Le madri sono le prime educatrici dell’Umanità. La psicologia insegna quanto sia importante la sua figura nell’educazione e nell’apprendimento del bambino. Tutta l’Agenda 2030 con i suoi obiettivi è permeata di un nuovo paradigma, sociale, economico, etico e ambientale. Le dome in primis sono chiamate a svolgere un’educazione spirituale, ovvero rivolta a sviluppare principi etici e morali per lo sviluppo nelle nuove generazioni delle virtù, quelle qualità che ciascun essere umano ha in sé potenzialmente alla nascita e che sono le caratteristiche che fanno di lui un essere “nobile”. Con la crescita delle virtù si fortifica il desiderio di contribuire al progresso dell’intera specie umana.
Le madri hanno la capacità di rimuovere i pregiudizi nell’uomo, se educheranno i loro figli ad odiare la guerra ed a considerare tutti gli uomini e le donne uguali.
L’educazione alle virtù, praticata tramite attività rivolte a bambini di qualunque nazionalità, razza o religione, è una delle condizioni preliminari per costruire le fondamenta di una civiltà mondiale con esseri liberi da qualunque pregiudizio, aperti al confronto e pronti a collaborare con tutti.
Infine, se la donna è la prima educatrice dell’umanità, in caso di necessità, la sua educazione deve essere preposta a quella dell’uomo proprio per il suo ruolo.
Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare donne e ragazze: manca qualcosa all’obiettivo numero 5?
di Gita Sen[1]
In un saggio intitolato “Nessuna emancipazione senza diritti, nessun diritto senza politica”, redatto per il progetto di valutazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs), abbiamo affermato che: “…nell’agenda per lo sviluppo il progresso verso l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile richiedono sia un approccio basato sui diritti umani, sia appoggio ai movimenti femminili per poter dare ulteriore impulso ed energia all’agenda. Questi due elementi sono entrambi assenti nel MDG numero 3. L’emancipazione richiede un intervento attraverso varie dimensioni e settori: sul piano sessuale, riproduttivo, economico, politico, legale. Il MDG numero 3, invece, inquadra l’emancipazione femminile solo come riduzione delle disparità educative. Omettendo altri diritti e non riconoscendo i diritti umani molteplici, interdipendenti e indivisibili delle donne, l’obiettivo dell’emancipazione viene distorto e si creano delle disparità nello sviluppo.
Avevamo anche attirato l’attenzione sulle “organizzazioni femminili… come attori chiave nel superamento di tali distorsioni e delle disparità a tutti i livelli, e quindi come attori cruciali nel far progredire l’agenda per l’uguaglianza di genere. Tuttavia le politiche dell’agenda influenzano a tal punto anche le priorità nell’ambito dei finanziamenti che il supporto economico per le organizzazioni femminili e per i progetti sostanziali per l’emancipazione è limitato” (Sen e Mukherjee, 2014, pag. 188).
Ci sono stati molti cambiamenti dalla prima formulazione dei MDGs a seguito della Dichiarazione del Millennio del 2000. Ma è davvero così? Di certo, rispetto alla formulazione dei MDGs, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), sono il risultato di un processo più aperto e inclusivo guidato dalle Nazioni Unite e rappresentano una fonte di dibattito intenso e diffuso. Eppure, quando si tratta di uguaglianza di genere, gli obiettivi appaiono piuttosto simili.
L’obiettivo del millennio numero 3 si impegnava a “promuovere l’uguaglianza di genere e a emancipare le donne”; il SDG 5 (come convenuto nel processo dell’Open Working Group dell’Assemblea Generale) (Nazioni Unite, 2014), incoraggia a “realizzare l’uguaglianza di genere e a emancipare tutte le donne e tutte le ragazze”. Tuttavia, a questo livello si possono notare due differenze importanti che riguardano l’esplicita inclusione delle ragazze e la parola “tutte”, che possono essere utilizzate per indicare le sfide che affrontano le persone più emarginate e le più oppresse. Altre differenze sono presenti quando si considerano i target all’interno dell’obiettivo: mentre MDG 3 aveva un solo target, orientato all’educazione, SDG 5 propone una serie di target per porre fine alla discriminazione, alla violenza e alle pratiche dannose, riconosce e dà dignità all’assistenza non retribuita, alla partecipazione e alla leadership nei processi decisionali, oltre all’accesso universale all’assistenza sanitaria in ambito sessuale e riproduttivo e ai diritti riguardanti la riproduzione. Resta da vedere come SDG 5 e i relativi target proposti si possano concretizzare in indicatori, e se questi ultimi saranno efficaci e fruibili al fine di vigilare sull’andamento dei target, (specialment quando le situazioni sono più complicate).
Allo stesso tempo, nonostante i progressi rispetto agli MDGs, SDG 5 risente ancora di un limite preoccupante: l’assenza di un esplicito riconoscimento dei diritti umani delle donne e delle ragazze. Questo articolo è stato scritto anche come una battaglia per l’affermazione dei diritti umani delle donne e il ruolo di coloro che difendono tali diritti, battaglia è stato aspramente combattuto al meeting annuale della CSW (Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne). Ciò che accade in CSW è importante, essendo questa un’istituzione riconosciuta in tema di controllo e vigilanza e in quanto protetta dall’egida di UN-Women (ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile), che sarà il principale braccio operativo per la realizzazione di SDG 5.
La dichiarazione politica della CSW (Nazioni Unite, 2015), la quale rappresenta il risultato principale dell’incontro, inquadra i diritti umani in termini non operativi; ancora una volta nel paragrafo 2 dove si riconosce che l’esecuzione del BPFA (Beijing Platform for Action) e la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne si rafforzano a vicenda per il concretizzarsi dei diritti umani delle donne e delle ragazze; e ancora nel paragrafo 5 dove i diritti umani delle donne sono elencati come uno dei 12 punti critici del BPFA. Il tentativo di intessere il tema dei diritti umani nel documento non è andato a buon fine; ma nemmeno il tentativo di rimuoverne ogni menzione. Il paragrafo 6, il principale paragrafo operativo, in cui i governi si impegnano ad agire, non contiene nulla di esplicito sui diritti umani; così come in nessun altro paragrafo.
Solo dopo lunghe trattative e ribattendo ad argomenti come quelli portati da uno Stato membro osservatore, ossia che i diritti umani delle donne sono solo uno fra i 12 punti del BPFA e che non dovrebbero essere citati esplicitamente, si è potuto convenire sulle pur sempre limitate menzioni ai diritti umani nella dichiarazione politica del CSW. Il fatto che i diritti umani delle ragazze e delle donne siano ancora un argomento di discussione 15 anni dopo la Dichiarazione del Millennio e 20 anni dopo la quarta conferenza mondiale sulle donne, rappresenta un passo indietro. Questa reazione negativa rischia di rallentare i progressi e i veri cambiamenti riguardanti le norme e le strategie necessarie per realizzare i diritti umani delle donne, riconosciuti dagli Stati Membri in occasione delle Conferenze delle Nazioni Unite a Vienna, al Cairo, a Pechino negli anni novanta.
Mentre i finanziamenti per mettere in atto tali norme e strategie sono stati profondamenti inadeguati, insufficienti, come hanno sottolineato Sen e Mukherjee nei loro articoli; le norme stesse però sono basi essenziali, irrinunciabili.
I diritti umani sono argomento di discussione perché, a differenza di politiche e programmi, sono spesso più chiaramente controllati giuridicamente, e possono essere strumenti per mettere governi e altri enti di fronte alle proprie responsabilità quanto ad atti e omissioni. Questo passo indietro, che va a scapito dei diritti umani delle donne, è stato causato da alcuni Stati membri (e osservatori) delle Nazioni Unite, Stati ed enti che risultano deboli per quanto riguarda la discriminazione contro le donne, e le cui leggi, le politiche, le pratiche, sostengono la diseguaglianza di genere in un’ampia gamma di dimensioni. Un fattore rivelatore di chi sia l’autore di questo passo indietro è stato il rifiuto della Dichiarazione Politica di riconoscere il ruolo chiave di chi difende i diritti umani delle donne, persone che spesso mettono a repentaglio la propria libertà e la propria vita per proteggere e per far progredire i diritti umani di ragazze e di donne a rischio. Tuttavia, la causa non risiede solo in questo.
Il rifiuto da parte di altri Stati membri di riconoscere la connessione, l’interdipendenza indissolubile che unisce diritti economici, sociali, culturali, a diritti civili e politici, è una grave sfida nel cammino verso il compimento di SDG 5.
Infine, occorre anche chiedersi: dove sono i soldi? Come enunciato nella relazione dell’OWG, ogni SDG ha i propri target e i propri strumenti di attivazione. Per quanto riguarda SDG 5, si menzionano riforme legali e tecnologia (5.a, 5.b, 5.c), ma non vi è alcun riferimento a finanziamenti. Ricordando che una delle principali falle nell’attuazione di MDG 3 è stata proprio l’insufficienza dei finanziamenti, la sfida del finanziamento del SDG 5 sarà un ostacolo serio, a meno che diventi una questione centrale per i suoi mezzi di attuazione.
Articolo pubblicato su ONUITALIA.
Traguardi
5.1 Porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione nei confronti di donne e ragazze
5.2 Eliminare ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine, sia nella sfera privata che in quella pubblica, compreso il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale e di ogni altro tipo
5.3 Eliminare ogni pratica abusiva come il matrimonio combinato, il fenomeno delle spose bambine e le mutilazioni genitali femminili
5.4 Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo un servizio pubblico, infrastrutture e politiche di protezione sociale e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie, conformemente agli standard nazionali
5.5 Garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica
5.6 Garantire accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo, come concordato nel Programma d’Azione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo e dalla Piattaforma d’Azione di Pechino e dai documenti prodotti nelle successive conferenze
5.a Avviare riforme per dare alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche così come alla titolarità e al controllo della terra e altre forme di proprietà, ai servizi finanziari, eredità e risorse naturali, in conformità con le leggi nazionali
5.b Rafforzare l’utilizzo di tecnologie abilitanti, in particolare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per promuovere l’emancipazione della donna
5.c Adottare e intensificare una politica sana ed una legislazione applicabile per la promozione della parità di genere e l’emancipazione di tutte le donne e bambine, a tutti i livelli.